Non ricordo esattamente un "quando" ma il "perché" mi è abbastanza chiaro: è stata l'esigenza di comunicare queste emozioni così forti (una sorta di "outing", se vuoi), la voglia di fare un regalo molto insolito a mia figlia, regalo che leggerà ed apprezzerà (spero) quando sarà più grande, perché le sia chiaro cosa lei abbia rappresentato per me sin dal primo momento che l'ho vista. Non ultima, la necessità di provare a colmare un "vuoto" su un argomento del quale si parla sempre troppo poco e, quando se ne parla, è sempre in termini negativi, in occasione di eventi tristi quali separazioni, affidi contesi, violenze familiari ecc.
Difficile a dirsi, quando lui è mancato io avevo 13 anni e molta dell'esperienza pregressa è stata rimossa tramite un meccanismo di autodifesa. I tempi erano certamente diversi, ma conservo un ricordo molto bello, quello di una persona dolce e premurosa.
Non avendo in mente un preciso modello, visto che lui è mancato troppo presto, mi affido alle mie aspettative. Cerco di essere il padre che non ho avuto la fortuna di avere al mio fianco.
Credo di sì, è stata una sorpresa parziale anche per lei, visto che lo ha potuto leggere solo quando è stato pubblicato. Alcune cose le conosceva già, visto che erano state pubblicate sulla rubrica "Dedicato al papà" della rivista "Il Mio Baby" (www.ilmiobaby.com).
La percezione non è cambiata affatto. La discriminazione all'incontrario esiste ed è fortissima, molto difficile da combattere, figuriamoci da sradicare.
La sensazione di essere "tagliati fuori" da tutto l'universo dell'infanzia (e del prenatale prima) può essere percepita appieno solo con gli occhi di chi ne è vittima. E' molto difficile che una donna si accorga di questo, in quanto non vive l'esperienza in prima persona. Non è bello, tanto per citare il primo esempio che mi viene in mente, sentire maestre ed educatrici che parlano sempre e soltanto al femminile ("abbiamo una comunicazione per le mamme..."). Non sarebbe sbagliato se alla parola "mamme" ogni tanto venisse sostituita quella di "genitori". E' una questione di forma che dovrebbe significare anche sostanza.
Non credo di poter dare consigli, ognuno dovrebbe sentire col cuore quel che è giusto fare, quanto si possa sacrificare, in una direzione o nell'altra. E' un "balancing act" non semplicissimo, infarcito da fortissimi sensi di colpa e di inadeguatezza. Una cosa però mi sento di affermarla con certezza: certi momenti della crescita dei nostri figli sono UNICI, accadono in un istante e non tornano più, sono e saranno persi per sempre. Non esserci significa privarsi di alcune delle poche cose che rimarranno nel cuore per tutta la vita. Mi sono perso la prima recita di Natale di mia figlia, perché ero fuori sede come commissario di concorso. E' un momento che avrei voluto vivere in prima persona, anziché attraverso una gelida videocassetta.
Inutile negare che la nascita di un figlio, oltre ad essere fonte di grandi emozioni, è anche portatrice di nuovi stress e tensioni. Mi piacerebbe dire che è tutto rose e fiori, ma non sarei sincero. Migliora la qualità della vita? Senza dubbio, quantomeno regala un senso ed una prospettiva al nostro cammino.
E, spesso, ci dà la forza per alzarci ogni mattina ed affrontare nuove sfide. In questo senso fa ringiovanire o, come ho scritto, nel libro, rinascere a nuova vita, rimettere tutto in discussione e rivedere le nostre priorità. Ho visto molti coetanei che, arrivati ad un certo momento della loro vita, trovandosi senza figli, faticano a trovare stimoli e motivazioni. Ad un certo punto si fanno dei bilanci (consuntivi e preventivi) e non è facile trovare nuovi entusiasmi quando cominciano a mancare solide prospettive.
Un libro che mi è piaciuto molto, e che ho recensito per la rivista Il Mio Baby, è "Parto di testa (La gravidanza del padre)" di Antonio Barocci (Stampa Alternativa). La storia di una gravidanza vissuta con gli occhi del padre: aneddoti, situazioni imprevedibili, grottesche, emozionanti...un libro, tra le altre cose, pure molto divertente.